Cecè/ La morsa
Sarà che il Tempo distrugge o nobilita con sorprendente maestria e infinita saggezza, sarà che finalmente il modo di mettere in scena Pirandello è cambiato, ma a noi è venuta voglia di rileggerlo, di tornare a studiarlo, di maneggiare il suo linguaggio. Le pagine del grande drammaturgo risultano subito venate da una profonda umanità e sono per noi ben lontane da certe letture e interpretazioni psicanalitiche; sono personaggi e storie dominate dal caos, dalla sfuggevole e contraddittoria natura dell'uomo.
Pirandello da arguto indagatore dell'anima, da profondo osservatore delle metamorfosi del suo tempo ci parla ancora oggi con una scrittura vibrante, densa, disincantata. Ci parla di noi, del nostro lato più animale e passionale e lo fa con la freddezza di un chirurgo e, al tempo stesso, con un'umanità infinita, con l'ironia e la rabbia che solo la nostra condizione mortale può suscitare negli uomini intelligenti.
Ecco dunque che scegliendo due atti unici, Cecè e La morsa, il nostro obiettivo è quello di presentare al pubblico due facce della stessa medaglia. Quel chiaro/scuro che è presente in tutta l'opera di Pirandello e che l'accostamento di queste due pièce mette ancor più in risalto.
Una commedia, insolitamente comica per lo stile del drammaturgo, e una tragedia quasi espressionista sono i due tempi di una partita tra l'uomo e la sua natura, tra l'uomo e la sua condizione.
Di fronte all'imbroglione Cecè a suo agio nell'Italietta dei primi del secolo così tristemente simile a quella di oggi, si ride a denti stretti. Ci si lascia invece trasportare dalla spirale nera in cui inesorabilmente cade Giulia, protagonista femminile de La morsa pur con un recondito sorriso.
CECE'
Cecè è una commedia in un atto unico scritta da Luigi Pirandello nell'estate del 1913. La prima rappresentazione si ebbe il 14 dicembre del 1915 a Roma.
La commedia narra la storia di un viveur, Cecè, capace di imbrogliare la gente senza farsi alcuno scrupolo. Un umorismo quindi che si potrebbe definire cinico per il sottofondo di situazioni ambigue ed immorali da cui si sviluppa.
Cecè è il tipico figlio del nostro tempo, esemplare di quel mondo parassita di clientele politiche che ormai, per abitudine e cinismo, non è nemmeno più avvertito come immorale.
Con spudorata allegria, Cecè imbroglia sia il commendator Squatriglia, che per i suoi loschi traffici di appaltatore, è venuto a ringraziarlo per un favore ottenuto, sia Nadia, una giovane dai facili costumi, che possiede delle cambiali dell'imbroglione che con una serie di stratagemmi riuscirà a riprendersele.
LA MORSA
La morsa è, come dice lo stesso autore, un «epilogo in un atto», scritto nel 1892.
La vera protagonista è Giulia, donna sincera e appassionata, che si trova all'epilogo della sua relazione adulterina con l'amante Antonio. Il marito Andrea ha scoperto i due amanti e vuole vendicarsi di entrambi stringendoli in una morsa di accuse.
In un dialogo serrato con la moglie, Andrea finge all'inizio di non sapere nulla ma con un incalzante gioco di allusioni e mezze parole, all'improvviso rivela la sua scoperta e violentemente incalza la moglie sopraffatta ed attonita, incapace di difendersi dalle accuse del marito, pure lui in fondo colpevole per averla trascurata.
Giulia rimane sola di fronte alla volontà di vendetta di Andrea perché le viene a mancare anche il sostegno dell'amante Antonio che vigliaccamente l'abbandona alla furia del marito.
Andrea caccia la moglie di casa proibendole di vedere per l'ultima volta i suoi figli e quando Giulia, che pure dice di continuare ad amarlo, disperata minaccia di uccidersi con indifferenza la incita a farlo.
Un colpo di pistola risuona nella stanza dove Giulia sconvolta è andata togliersi la vita e al sopraggiunto Antonio, Andrea dirà: «Tu l'hai uccisa!».